Argomento trasversale negli anni e ora sempre più manifesto riguarda la pertinenza dei compiti nel momento in cui si discute di educazione. Un quesito da risolversi in maniera definitiva e rapida alla luce delle nuove minacce che vengono dal cyberbullismo, un fenomeno di violenza e intimidazioni che si muove attraverso il web.
La partita per la responsabilità della formazione di una società civile, storicamente giocata tra famiglia e istituzione scolastica, sembra vedere uno spostamento del risultato in favore di quest'ultima, sollevando in risposta discussioni su cosa sia l'educazione e chi abbia per destinatario.
La riduzione, quando non abdicazione, di un costante impegno familiare porterebbe a ulteriori missioni in quello che è l'indirizzo scolastico e la competenza del docente, un professionista sensibile all'osservazione dei cambiamenti e che dovrebbe focalizzarsi sulla condivisione di strumenti per l'integrazione.
Ed è proprio nelle scuole che si riscontra maggiormente questo fenomeno. I dati Istat del 2019 indicano che nel periodo della rilevazione il 55% delle giovani tra 11 e 17 anni è stato oggetto di prepotenze saltuarie, il 20,9% accusa vessazioni mensili e il 9,9% settimanali.
A far pensare che le stime siano più che prudenti sono i numeri che mostrano che fino al 50% dei soggetti colpiti non ne parla con i genitori e fino al 60% non lo fa affatto, per imbarazzo o timore di ripercussioni.
Le trasformazioni socioculturali infatti richiedono strumenti di lettura, interpretazione e moderazione a cui si deve assolvere per garantire un'attenzione al bene comune, evitare disadattamenti e facilitare le transizioni delle generazioni contemporanee tra i diversi gradi d'istruzione e verso il mondo lavorativo, acquisendo sensibilità, conoscenze e competenze aderenti.
L'approccio esclusivamente tecnico ai media, l'aumento dei disturbi d'ansia e depressione registrati tra i giovani e giovanissimi (40% a livello mondiale), sono campanelli di una minaccia già esistente che riguarda l'uomo nella sua totalità e richiedono di essere debitamente trattati con un'azione sinergica di tutti gli apparati esistenti.
Diventa chiaro come il dilagamento delle possibilità di socializzazione non si è accompagnato ad una migliore qualità della comunicazione o una cancellazione dell'individualismo.
Riconoscere la matrice umana delle difficoltà tecniche e culturali è indispensabile per un comune impegno che deve necessariamente passare attraverso l'educazione per essere trasformativo, pensando la persona in maniera olistica.
L'impegno di questi anni deve vedere l'uomo educato con continuità e in ogni forma aggregativa che sperimenta alla convivenza, all'inclusività, all'apprendimento dell'espressione emotiva, all'approccio empatico verso l'altro, all'esercizio di responsabilità e all'aspetto psicosociale nell'uso dei device, incoraggiando l'idea di curare una "reputazione digitale".
Obiettivi come questi potrebbero essere perseguiti anche nelle scuole con una ridefinizione dei percorsi scolastici di ogni grado, in cui nel segno della continuità, si potrebbero studiare dei casi attraverso l'interpretazione degli studenti in ruoli che poi si invertono per maturare più punti di vista; così come un'attenzione all'arricchimento lessicale permetterebbe di ridurre il rischio di violare la sensibilità dell'altro e conferirebbe elasticità al proprio modo di pensare.
Il sostanziale impegno oggi richiesto in ogni ambiente è quello di attribuire all'uomo il peso specifico dei cambiamenti e a educarlo pensandolo nel suo essere globale per responsabilizzarlo ad essere nel globo.
Adriana Lorusso,
Studentessa SCOPSI
Università degli Studi "Aldo Moro" di Bari