Il Covid-19 è una patologia infettiva causata dal virus SARS-CoV-2 che colpisce principalmente le vie respiratorie e che ha avuto importanti conseguenze dirette sulla salute della popolazione, infatti, ha causato più di 130 mila morti in Italia e più di cinque milioni nel mondo dall’inizio della pandemia.
L’impatto del virus, però, non si è limitato solo a questo, infatti, ha comportato numerosi effetti indiretti, soprattutto nei giovani.
Infatti non solo la pandemia, ha portato i medici e sanitari a mettere da parte altre patologie, anche gravi, al fine di assistere i malati di covid, ma ha anche favorito un notevole aumento delle malattie mentali e degli stati depressivi, come messo in evidenza da uno studio pubblicato all’inizio del 2021 su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) , il quale ha anche documentato un drammatico declino nell’attività fisica, una riduzione delle interazioni sociali e un aumento del tempo trascorso davanti allo schermo elettronico.
Uno dei disturbi mentali che si è diffuso notevolmente in questi due ultimi anni di pandemia è senza dubbio l’ipocondria. I soggetti affetti da ipocondria sono affetti da un disturbo psichico che si manifesta con una paura patologica delle malattie, anche in periodi tranquilli dal punto di vista della sanità pubblica.
il DSM riconosce due tipologie di ipocondriaci tra loro agli antipodi: il tipo richiedente l’assistenza e il tipo evitante l’assistenza. Nel primo caso, il soggetto si reca spesso dal medico senza mai esserne rassicurato, richiede esami e approfondimenti spesso inutili e cambia spesso specialista di riferimento. Nel secondo caso, l’ansia che il medico possa rivelare una diagnosi di grave malattia è così intensa che il soggetto fa di tutto per evitare visite ed esami.
Il soggetto ipocondriaco viene spesso considerato una sorta di macchietta, un malato immaginario con dei comportamenti bizzarri, a volte anche comici, tanto da comparire spesso come personaggio nei film comici o negli spettacoli di cabaret. Bisogna invece considerare che l’ipocondria è la manifestazione di un disagio e di una sofferenza interiore spesso profondi, che meritano la giusta attenzione e un adeguato sostegno da parte di professionisti.
Sul tema è utile segnalare il risultato di uno studio condotto proprio durante l’apice della crisi per gli ipocondriaci.
Il lockdown li ha infatti segregati in casa, come il resto della popolazione, e molti di loro hanno dovuto proseguire le sedute di psicoterapia da remoto, usando diverse piattaforme per videoconferenze. Ebbene, uno studio condotto da Erland Axelsson e colleghi del Karolinska Institut di Stoccolma, in Svezia, e pubblicato sulla prestigiosa rivista “JAMA Psychiatry” ha concluso che la psicoterapia cognitivo-comportamentale che si svolge online non è inferiore a quella che si svolge con la modalità tradizionale faccia a faccia.
L’ipocondria, però, non è stato l’unico disturbo ad essersi manifestato, infatti, i più giovani, a causa dell’isolamento hanno sviluppato stati depressivi e dipendenze di vario genere: da quella per i videogiochi a quella per la pornografia, ma non solo. Molti ospedali italiani hanno assistito ad un aumento del numero di richieste di ricovero in psichiatria da parte dei più giovani. Molte di queste avvengono per atti di autolesionismo e tentati suicidi, anche se di pari passo si è potuto assistere ad un forte aumento dei ricoveri per anoressia. Infatti, In un sondaggio su oltre 3500 intervistati durante il lockdown italiano, più della metà dei partecipanti ha riportato un cambiamento nella percezione della fame e della sazietà.
In particolare, il 17% delle persone ha riferito una riduzione dell’appetito mentre il 34% un aumento dell’appetito. La maggior parte dei partecipanti ha riportato un cambiamento nel loro consumo di cibi “sani” durante il lockdown. Nonostante ciò, il 48% del campione ha percepito di aver preso peso durante questo periodo.
Un recentissimo studio basato su un sondaggio on line nel Regno Unito ha esplorato i cambiamenti percepiti dell’alimentazione, nell’esercizio fisico e nell’immagine corporea in 264 partecipanti di età maggiore ai 18 anni.
Dall’analisi dei risultati, pare che le donne abbiano una maggiore propensione rispetto agli uomini, a ricercare una migliore regolarità alimentare. Ma riportano anche una maggiore preoccupazione per il cibo e un peggioramento dell’immagine corporea.
Le persone che hanno avuto in passato diagnosi di Disturbi Alimentari o che hanno attualmente un problema alimentare hanno mostrato una modificazione nella percezione dell’immagine corporea particolarmente elevata e significativi cambiamenti nel mangiare e nell’esercizio fisico.
Questi risultati, fanno ipotizzare che ci sarà un aumento della domanda per la cura di anoressia, bulimia e binge eating. Si ipotizza anche un aumento di accesso ai servizi di persone che riportano sintomi più gravi.
L’attuale pandemia di COVID-19 pare quindi aver creato un contesto globale che potrebbe aumentare il rischio dello sviluppo dei disturbi alimentari.
Ad aver inciso sull’aumento dei disturbi alimentari tra i giovani, sono senza dubbio i social network. Infatti, il lockdown ha portato con sé un aumento del tempo libero ed un maggiore utilizzo dei social network.
Gli adolescenti che fanno uso dei social media, si trova a dover affrontare una realtà distorta fatta di esibizione ed iniziano a sperimentare fin da subito i primi sentimenti di frustrazione, attenzione ed insoddisfazione verso il proprio corpo.
Tali evidenze vanno ricondotte alle caratteristiche peculiari dei social network: immediatezza, interattività, partecipazione attiva tra una vasta cerchia di connessione e facile disponibilità di utilizzo su dispositivi come smartphone o tablet ormai largamente diffusi in tutte le famiglie. I social più utilizzati sono Facebook, Instagram, Twitter e Pinterest (Duggan & Smith del 2014) su cui le persone, e in particolar modo gli adolescenti, passano in media 2 ore e 30 minuti al giorno.
Secondo il modello socioculturale di Stice (1994), inoltre, i media, i coetanei e la famiglia sono i veicoli importanti attraverso i quali i messaggi sul peso e sull’aspetto fisico vengono trasmessi ai membri della società. Secondo il modello, infatti, i disturbi dell’alimentazione sono il risultato di una pressione sociale pervasiva che spinge all’essere magri e a perdere peso, per le donne, e ad essere muscolosi e mesomorfi per gli uomini.
I Social media diventano, pertanto, potenti trasmettitori di messaggi che, se interpretati scorrettamente, possono sostenere gli ideali di bellezza ed incoraggiare l’insoddisfazione per l’imperfezione del proprio corpo.
Occorrerebbe, dunque, incrementare lo sviluppo della media literacy affinché tutti i ragazzi riescano a riconoscere i messaggi sbagliati veicolati dei social network. La scuola dovrebbe essere la prima istituzione a sganciarsi da un’educazione di stampo tradizionale e fornire ai ragazzi gli strumenti e le giuste competenze per navigare in rete senza incorrere in contenuti che potrebbero urtare la loro sensibilità e facilitare lo sviluppo di queste problematiche, attraverso corsi e lezioni dedicate ai pericoli della rete.
Studentessa corso di laurea magistrale in Scienze della Comunicazione Pubblica, Sociale e d'Impresa SCOPSI, Uniba.