Per provare a proiettarci nel futuro è necessario osservare ciò che si ha intorno nel presente. Didattica a distanza, infanzie bloccate, legami mai nati, legami spezzati. È impossibile non accorgersi di come gli ultimi due anni abbiano messo a dura prova fantasia e ottimismo, armi chiave per un percorso di vita fatto di obiettivi e determinazione. La situazione pandemica è ormai una realtà con cui si sta imparando a convivere, ma ciò comporta sforzi maggiori e molteplici privazioni.
Tra i settori che maggiormente soffrono in questo nuovo contesto all’interno del quale siamo stati catapultati ci sono istruzione, cultura e sport. Questi, posti dietro ad uno schermo, sono stati privati dei punti cardine per il loro funzionamento.
La Dad ha affievolito l’interesse di bambini e adolescenti per la cultura, ha determinato un danneggiamento nel processo di crescita della persona.
Come ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice generale di Save the Children Italia, a distanza di un anno dalla dall’inizio ufficiale della pandemia globale, centinaia di milioni di bambini e adolescenti rimangono fuori dalla scuola. Questa grande emergenza educativa non ha fatto altro che ampliare il divario tra i Paesi, e all’interno dei Paesi stessi, come quello esistente tra le famiglie più ricche e quelle più povere, tra i minori con disabilità e quelli senza. “È necessario agire in modo strutturato e globale, per garantire che non siano i più piccoli a pagare il prezzo di questa pandemia” (Daniela Fatarella, Direttrice generale di Save the Children Italia).
A scuola, infatti, si impara l’italiano e la matematica, il metodo di studio più adeguato alle diverse discipline e le lingue straniere, ma anche il rispetto, la convivenza e la condivisione. A scuola si forma la propria identità, la propria personalità. Tutto ciò negli ultimi due anni si è svolto dietro ad uno schermo, portando con sé telecamere spente e lezioni mai ascoltate.
Come ha riportato il Rapporto Mondiale di Monitoraggio dell’Educazione in un blog del mese di marzo, la possibilità di una pandemia e la conseguente chiusura delle scuole come misura di prevenzione non avrebbero dovuto essere del tutto inattese data la frequenza con cui esse si sono verificate nella storia. Nonostante questo, la pandemia dovuta al COVID-19 ha creato forse l’interruzione più grande nel funzionamento dei sistemi educativi, interessando più di 1,5 miliardi di studenti in più di 190 paesi e tutti i continenti.
Le chiusure di scuole e altri spazi di apprendimento hanno avuto un impatto sul 94% della popolazione studentesca mondiale, fino al 99% nei paesi a reddito medio-basso.
Intaccando le opportunità di istruzione, gli effetti sociali ed economici possono essere grandi, soprattutto per coloro che erano già svantaggiati all’inizio dell’emergenza. La povertà e la deprivazione, insieme alle disabilità e alle malattie croniche, sono alcuni dei fattori che aggravano il rischio di esclusione dell’istruzione. Se i ragazzi chiedono di tornare ad una normalità di cui sembrano avere solo un lontano ricordo, i bambini quella normalità non l’hanno mai vissuta. Nella scuola – soprattutto dell’infanzia e primaria – l’apprendimento risulta limitato dalla distanza e dalla paura, dalle mascherine e dai banchi separati, così come appare ridotta la concentrazione e la curiosità.
Tra le occasioni di socialità è necessario annoverare anche palestre e centri sportivi. Luoghi in cui imparare a conoscersi e a relazionarsi. Anche questi a lungo messi da parte. L’ora di educazione fisica a scuola, sacrificata dalla didattica a distanza in periodo emergenziale, o relegata ad attività di secondo piano anche in periodi non sospetti.
L’attività motoria è gioco, scoperta, conoscenza, è stimolo per la crescita dell’autostima e dell’autonomia, per la capacità di iniziativa e consapevolezza di sé. Lo sport, come l’istruzione, è uno dei principali contesti che abituano al rispetto delle regole e ad uno sviluppo psicofisico dell’individuo. Persino insicurezza e vulnerabilità – sentimenti che al giorno d’oggi, come diversi studi dimostrano, caratterizzano diversi giovani – possono essere contrastati anche grazie al movimento, chiave per la crescita dell’individuo in quanto tale, prima che dell’individuo in quanto atleta. Non a caso la figura dell’allenatore è stata nominata la terza figura fondamentale nel processo di crescita, dopo i genitori e la scuola, essendo anch’egli un insegnante e un modello.
I bambini e i giovani di oggi sono gli adulti del futuro, all’Europa non resta che favorire la creazione di occasioni propizie affinché ciò accada, affinché la scuola e le occasioni di socialità non rappresentino più un problema ma un’occasione, un microcosmo da curare e valorizzare.
L’Europa potrebbe promuovere questo ritorno alla normalità attraverso attività curricolari di riavvicinamento alla socialità da svolgere nelle scuole materne e primarie, incentivando un percorso in cui i bambini siano accompagnati alla scoperta dell’altro, vedendolo non più come un “pericolo” – come fino ad ora la televisione ha fatto creder loro – ma come un compagno, un amico, un mezzo per scoprire il mondo e se stessi. Tutto ciò sarebbe possibile farlo attraverso due armi fondamentali in possesso degli esseri umani: la parola e il movimento. Così i bambini, grazie agli insegnanti e ad un team composto da psicologi ed esperti di movimento, potranno dar vita ad occasioni che permettano loro di demistificare la paura dell’altro.
Tuttavia, la cultura non si ferma tra i banchi degli istituti di formazione, ma riveste il quotidiano. Investe ogni fascia d’età in quanto è amore per la conoscenza, per la scoperta, per il pensiero critico. Si parla di lifelong learning: un’educazione continua lungo l’intero arco della vita. Significa essere affamati di conoscenza, alimentare senza tregua il fuoco di Prometeo.
Pensieri incerti e un futuro incerto, però, non fanno che affievolire questo fuoco.
Questo è ciò che è accaduto a tanti giovani, e non solo, come dichiarato da Lazzari, presidente degli psicologi, il quale ha affermato che circa il 60% degli italiani si è rivolto ad uno psicologo per gestire l’emergenza.
La richiesta, seppur sorda, arriva a gran voce: i giovani hanno bisogno di essere ascoltati, hanno bisogno di aiuto, anche quando non sanno a chi chiederlo, anche quando le risorse economiche non sono sufficienti per rivolgersi a dei professionisti.
L’Europa potrebbe stanziare dei fondi per garantire uno psicologo di base che aiuti loro a ripartire, per far sì che questo supporto non gravi solo sulle spalle delle associazioni no-profit, degli sportelli di ascolto gratuiti nati per iniziativa degli esperti stessi. Questa pandemia non ha creato solo danni economici. C'è bisogno di risorse volte alla cura del proprio Io, per io bene di tutti coloro che si sono sentiti immobilizzati, limitati, stravolti. Anche loro sono una responsabilità sociale.
Il futuro dell’Europa, come quello del mondo in generale, appare incerto, annebbiato da un presente che ci toglie la possibilità di camminare su una strada lastricata di sicurezze. Se la crisi che stiamo vivendo tocca tutti gli ambiti, da quello economico a quello sociale, è ancor più vero che per uscirne c’è bisogno di menti determinate e responsabili. È per questo che l’Europa del futuro deve porre un accento importante sul contesto educativo e sportivo, sul sostegno e sulla ripartenza.
Il futuro si costruisce già oggi, nel presente, soprattutto nei bambini e nei giovani che lo abitano con più incertezze rispetto al passato ma con ancor più voglia di farcela.
A cura di:
Antonelli Luciana (matricola 754326)
Colucci Madia (matricola 754335)
Studentesse SCOPSI
Università degli studi “Aldo Moro” di Bari