Dal titolo “Fortezza Europa: decostruire i muri visibili e invisibili della UE” il webinar del 23 luglio 2021 è il quinto appuntamento del Forum Europe4Future per confrontarsi sul tema immigrazione e diritti.
Sono intervenuti con spunti di riflessione e proposte molto concrete da portare in Parlamento Europeo: Eva Tennina - Coordinatrice e responsabile della progettazione di “Progetto Diritti” onlus; Flaminia Delle Cese - Legal and policy officer CILD, della Coalizione italiana per la libertà e i diritti civili; Luigi Cazzato, docente di decolonietà e coordinatore del Master in Giornalismo dell’Università degli Studi di Bari. Il dibattito è stato moderato dalla giornalista professionista e docente Uniba, Marilù Mastrogiovanni.
Da quali costrutti simbolici partire per abbattere i muri dell’Ue?
Il confronto si apre con una riflessione del professor Luigi Cazzato:
“Adesso si sta avverando una sorta di nemesi. Le colonie sfruttate vanno nei paesi che le hanno colonizzate. Dovremmo rifiutare la amnesia come metodo. Dimenticare meno, immaginare di più. Le donne e uomini e giovani che provano a iniziare una nuova vita nei confini europei, immaginare che una enorme massa di giovani potrà formare la popolazione europea. Mischiarsi, per dare nuova linfa vitale allo spazio sociale europeo, che potremmo definire ora canuto e stanco”.
La Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), rete di organizzazioni della società civile che lavora per difendere e promuovere i diritti e le libertà di tutti, unendo attività di advocacy, campagne pubbliche e azione legale sta portando avanti un progetto pilota di alternative alla detenzione dei migranti. Ne ha parlato Eva Tennina – Coordinatrice di Progetto Diritti onlus.
Quale innovazione sociale nel progetto pilota che state portando avanti sulle alternative alla detenzione dei migranti??
L’area Schengen richiedeva l’istituzionalizzazione della detenzione amministrativa, afferma Eva Tennina che, dopo un breve excursus riguardo la CILD, la sua funzione e utilità sociale, introduce la sua proposta al forum.
“Il nostro è un progetto pilota che si occupa di creare alternative alla detenzione, verso una gestione più efficace e umana della migrazione. Con il decreto Lamorgese, si è introdotta una importante possibilità per i Centri attivi in Italia. Oggi meno del 50% dei migranti trattenuti in regime di detenzione viene effettivamente rimpatriato. Chi viene rimpatriato riceve il rimpatrio nei primi giorni di intrattenimento, non serve l’illecito dichiarato dal garante”.
La proposta dell’esperta è: “Non avere il classico obbligo di ritornare nel paese di provenienza, ma permettere libertà alle persone di muoversi nella comunità e prendere decisioni informate, quindi garantire maggiore stabilità individuale”.
Di conseguenza, spiega: “La possibilità di inserire i vulnerabili in percorsi adatti, per il governo comporta meno costi amministrativi. Questo approccio è il cosiddetto Case Management. Prevede l’affiancamento di un tutor che mira a rendere consapevole e indipendente la persona, che può capire le sue reali possibilità e agire per essere attore del proprio destino”. Nel dettaglio poi ha spiegato in maniera tecnica in cosa consista questa metodologia illustrando le fasi del Case Management applicato al fenomeno dell’immigrazione, che possiamo riassumere in cinque punti.
1. Un primo screening (durante il quale è fondamentale la volontà di emanciparsi);
2. Valutazione delle vulnerabilità e potenzialità del caso specifico;
3. Pianificazione a seconda dei risultati;
4. Intervento, durante il quale la persona accede ai servizi e può iniziare un percorso di inclusione sociale;
5. Chiusura del caso con l’ottenimento del permesso di soggiorno regolare.
“…Ma può essere anche il trasferimento in un altro paese europeo o l’attivazione del percorso di ritorno volontario assistito”, aggiunge.
Continua poi specificando cosa si intenda per assistiti: “Sono gli irregolari che non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno (in particolare tanti durante la pandemia), manca informazione corretta per queste persone; oppure persone già trattenute, in alcuni casi ci sono persone che non dovrebbero essere trattenute assolutamente. Il metodo è largamente applicabile su persone di diverso genere, i destinatari sono di 4 continenti diversi; chi è nato e cresciuto in Italia ma non ha la cittadinanza per non continuità di residenza; chi è arrivato da poco, chi ha avuto a lungo il permesso di soggiorno e lo ha perduto”.
Quali obiettivi, quindi? “Espandere il più possibile questo approccio e raccogliere dati e informazioni che possano convincere sulla scelta di questo strumento piuttosto che su quello della detenzione”, conclude Tennina.
Passa poi la parola a Flaminia Delle Cese, Legal and policy officer CILD, della Coalizione italiana per la libertà e i diritti civili, che spiega invece cosa intendiamo per advocacy. “L’obiettivo finale è nelle scelte che determinano azioni e strategie della società civile per influenzare i decisori politici e per cambiare. Prevede l’individuazione dei soggetti che hanno potere, tramite una azione di mappatura dei soggetti decisionali e non, per raggiungere un cambio di approccio nel fenomeno migratorio, che metta al centro la persona”.
Aggiunge: “Il lavoro di advocacy è stato intensificato nel periodo pandemico, in un momento in cui non si poteva realizzare l’obiettivo di rimpatriare il soggetto nel paese di origine. Alcuni governi come la Spagna se ne sono resi conto subito del paradosso di trattenere una persona quando non si può. In Spagna si è verificato un progressivo svuotamento dei centri del rimpatrio, il numero delle persone è sceso in quel periodo in Italia. Il fatto che il Consiglio d’Europa non solo mostri interesse per la nostra realtà (riferito alla CILD) ma anche ci supporti, come nel caso dello scorso inverno, aiutandoci a realizzare un convegno online, per noi è un primo passo avanti. Il lavoro di advocacy richiede anche un lavoro sulle parole, sul linguaggio. Perché non è facile innanzitutto confrontarsi con colleghi internazionali, quindi usare l’inglese, una lingua comune ma di cui in pochissimi sono madrelingua, per esprimere concetti che non possiamo dare per scontato. Per questo proponiamo di mettere a disposizione un tool kit con le parole adatte e più chiare per arrivare all’obiettivo, ben vengano anche le critiche per affinare il messaggio e spiegare il metodo che vogliamo portare avanti. È manifesta la necessità di creare e usare un linguaggio nuovo per raccontare i fenomeni migratori. Quindi è necessario anche coinvolgere le scuole e le scuole di giornalismo e i docenti, fornendo strumenti perché possano raccontare correttamente il fenomeno migratorio e decostruire quegli stereotipi che vengono continuamente utilizzati costruendo un universo simbolico che causa discriminazioni”.
Una riflessione del professor Cazzato interviene per stimolare il dibattito circa l’inutilità della detenzione amministrativa.
Perchè l’Europa continua ad usare queste vecchie misure detentive? Il professore risponde:
“Perché Fanno parte di una vecchia strategia di de-umanizzazione dell’altro, da parte del soggetto che mira a renderli non-persone; la chiamiamo matrice coloniale del potere. La pratica decoloniale è il processo di riumanizzazione, che a me sembra fondamentale”.
“Come abbattere le barriere?” chiede la giornalista. “Creare canali migratori regolari è il modo per abbattere le barriere. L’unica maniera che le persone hanno è chiedere protezione internazionale. Non si può demandare a pochissimi numeri l’entrata per i lavoratori stranieri, quando i paesi europei si reggono nei nostri sistemi economici proprio sull’apporto degli stranieri. Purtroppo il nuovo patto mira solo al rafforzamento dell’area Schengen e quindi a barricare queste frontiere e tenere lontano dai nostri occhi quello che avviene”, è la risposta di Cazzato.
Aumentare le occasioni di monitoraggio indipendente alle frontiere stesse
Interviene infine Flaminia delle Cese, che racconta l’iter iniziale nel momento di accesso in territorio italiano.
“In caso di primissima accoglienza viene richiesto di compilare un modulo, un foglio su cui segnare il motivo per cui si arriva in Italia: Per cercare lavoro, per trovare asilo. Questo foglio non è chiaro, i motivi reali spesso vengono fuori solo dopo. (…) La proposta è quella di modificare la prassi del modulo prestampato e la sua esasperazione”.
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