Lanciate due proposte dall'esperienza del centro fondato e gestito a Lecce e provincia per 17 anni da Ines Rielli, psicologa, femminista, esperta di violenza intersezionale, tratta e sfruttamento, con il supporto di Irene Strazzeri, sociologa e docente dell'Università del Salento, dopo il confronto del webinar del 20 luglio: prevedere una premialità per progetti riconosciuti come buona prassi e attivare un fondo archivistico che apra a studenti, associazioni e alle donne delle altre sponde del mediterraneo
Per 17 anni, dal 1999 al 2016, a Lecce e in provincia è stato attivo il centro Libera, realizzato da una rete di donne per un umanitarismo femminista, pensando a chi è stato vittima di tratta e sfruttamento. Donne in primis, ma anche uomini. L'esperienza di quel progetto che, pur essendo stato riconosciuto come buona pratica europea, è arrivato al capolinea (paradosso tutto italiano), è stato al centro del webinar del 20 luglio scorso, nella maratona del progetto Europe4future promosso dall'associazione onlus Crea-centro ricerche e attività, con il Forum delle Giornaliste del Mediterraneo-Mediterranean Wowen Journalists e Citynews, gruppo italiano editoriale on line.
Il webinar del 20 luglio 2021 e il confronto sull'esperienza del centro Libera
Il confronto è stato moderato dalla giornalista Marilù Mastrogiovanni, fondatrice del Forum of Mediterranean Women Journalists. Due le ospiti: Ines Rielli, psicologa, femminista, esperta di violenza intersezionale, tratta e sfruttamento, e Irene Strazzeri, sociologa, docente dell'Università del Salento.
Rielli e Strazzeri sono due delle autrici del libro dal titolo “Libera Libere. Pensieri e pratiche femministe su tratta, violenza, sfruttamento” edito da Radici Future nel 2019, a metà tra un saggio e un reportage giornalistico sull'esperienza vissuta in prima persona negli anni di attività del centro Libera. Le altre autrici sono Monia De Nitto, Francesca De Pascalis, Diana Doci, Laura Gagliardi, Maria Giarusso, Olga Sminorva.
L'obiettivo del progetto Europe4future e il Manifesto di Taranto
“L'obiettivo del progetto Europe4future è immaginare il futuro dell'Europa partendo dalle voci delle donne e dei giovani, soprattutto partendo dal Sud”, ha ricordato Mastrogiovanni in apertura. “Abbiamo organizzato dibattiti on line con esperte, ricercatrici, giornaliste, attiviste che sulle nuove tematiche della Conferenza sul futuro dell'Europa disegneranno un futuro diverso, possibilmente senza confini”, ha spiegato.
“Tutte queste proposte confluiranno nel manifesto di Taranto: è un elenco di desiderata sull'Europa che vorremmo presentare al Parlamento europeo”, ha anticipato la direttora.
Perché Taranto? “Perché il futuro dell'Italia e dell'Europa, post Recovery fund non può che partire da una città che deve diventare simbolo della rinascita e della bellezza e non più della morte e della insostenibilità, com'è stata finora. Taranto merita di essere amata e valorizzata dai governi e dalla politica e conosciuta dai cittadini e dalle cittadine dell'Europa. Non c'è rinascita dell'Europa senza la rinascita del Sud e non c'è rinascita del Sud senza rinascita di Taranto”, ha sottolineato prima di dare la parola alle due ospiti che hanno affrontato il tema della violenza intersezionale.
Il centro Libera attivo per 17 anni a Lecce e in provincia: l'esperienza dal 1999 al 2016
“Ines Rielli ha inventato e poi coordinato un progetto, per 17 anni, che si chiamava Libera, nato per tendere una mano in chiave laica e femminista alle donne vittime di tratta e sfruttamento”, ha ricordato Mastrogiovanni. “Quel centro è stato chiuso per volontà politica”, ha detto. “Irene Strazzeri ha studiato l'archivio delle testimonianze, delle voci delle donne e degli uomini vittime di tratta e sfruttamento”.
Dal sogno al delirio del centro Libera: gli spazi di autonomia e libertà nel servizio pubblico
“Nel libro a un certo punto, quel progetto che sembrava un sogno lo definisco un delirio, perché abbiamo pensato e creduto di creare degli spazi di autonomia e libertà femminili all'interno di un un servizio pubblico”, ha detto Rielli. “Il nostro punto di partenza è questo: noi siamo bianche, occidentali, laureate, fortunate, viviamo in una parte fortunata del mondo, l'altra che noi incontriamo non è così fortunata, perché è costretta ad affrontare un viaggio in difficoltà gravissime. L'interrogativo che noi ci siamo poste è questo: il nostro aiuto, il nostro umanitarismo come può realizzarsi, in una relazione che è di potere? Noi possiamo, dal momento che abbiamo gli strumenti dell'aiuto, le case, i soldi, una struttura organizzativa che ci consente di aiutare l'altra che, invece, ha una busta di plastica in mano”, ha aggiunto.
La metodologia del progetto Libera: relazioni democratiche tra donne
La metodologia del progetto Libera parte dal dato di fatto relativo a uno squilibrio di potere intrinseco e inevitabile: “Ci era ben chiaro che, da una parte c'è chi ha bisogno di aiuto, dall'altra c'è chi può darlo, c'è chi ascolta, noi, e chi è ascoltata, chi è detentrice della parola e chi non lo è”, ha sottolineato Rielli. “Perché l'aiuto e l'umanitarismo, a cui aggiungiamo la parola femminista, non arrivi a situazioni di paternalismo, infantilizzazione, assoggettamento e direttività, è necessario lavorare su stesse e con le altre donne dell'equipe, e allo stesso tempo lavorare con le donne che ci chiedono aiuto. Solo partendo da questo nucleo è possibile mettere in campo relazioni democratiche tra donne con la consapevolezza che anche il nostro sapere accademico, specialistico, situato, è un sapere storicamente dato. A partire da questo pensiero e dal bisogno di costruire una democrazia nelle relazioni di aiuto, ci è venuto in soccorso il femminismo con una cassetta degli attrezzi da usare ogni giorno: sono pratiche da mettere in atto, restando sempre in ascolto dell'altra”, ha messo in evidenza Rielli.
Nel passaggio conclusivo, Ines Rielli ha voluto condividere una una riflessione: “E' necessario partire da sé, ma andare anche oltre sé”, ha detto. “L'altra si incontra in una sorta di terra di mezzo, in un mare in cui si nuota insieme. Tanta letteratura femminista ci dice che le pratiche hanno bisogno di un momento di solitudine”.
Con Libera è stato realizzato un percorso certamente nuovo. “La visione di Ines Rielli è eretica, il percorso è inedito: donne che arrivano sulle nostre sponde dopo un vissuto di violenze e che diventano protagoniste di un rapporto paritario con le operatrici del centro attraverso, per esempio, la tenuta di un diario quotidiano”, ha detto Mastrogiovanni. Perché è importante la parola scritta, l'archivio? Nero su bianco sono state raccolte le testimonianze, anche crude delle donne del centro Libera. A rispondere è stata Irene Strazzeri.
Le testimonianze delle donne e il valore dell'archivio come ri-memorazione per un risarcimento
“L'archivio non è tradizionale: intanto non risponde all'idea della pura e semplice raccolta di testimonianze, né rappresenta un insieme di vissuti solo per essere ricordati nelle celebrazioni o nei momenti in cui è utile”, ha precisato la docente dell'Università di Lecce.
“Dal mio punto di vista, quell'archivio serve non alla memoria, ma alla ri-memorazione che è la funzione immaginativa che ci fa guardare ai vissuti delle altre come a vissuti che esigono un risarcimento”, ha spiegato. “Quelle parole servono a ri-memorare il debito che abbiamo con un insieme di donne, con tutte quelle che portando a compimento un progetto che ha a che vedere con la libertà di movimento e con un mondo senza confini”, ha aggiunto. “Mi riferisco alle donne che sono riuscite ad affrontare il progetto e questo può essere qualcosa da ricordare e un mattone di un edificio, di una Europa nuova e diversa. Per questo non si tratta di un archivio deposito, ma di qualcosa che ci aiuta a ri-memorare e a tenere in mente che il nostro futuro può anche essere pensato alla luce di combattenti dal basso, di umanitarismo femminista che è senza dubbio espressione di un tentativo di scippare alle istituzioni una definizione puramente formale”, ha spiegato Strazzeri.
“Questo umanitarismo è espressione di pratiche, di vissuti e di esperienze che si sono formati attraverso la rete di donne attive, sia come operatrici che come donne in carico, arrivando a maturare una consapevolezza piena dei diritti umani”, ha evidenziato.
C'è stato anche un riferimento al ventennale dei fatti del G8 a Genova perché la storia non va mai dimenticata: “Quel movimento invocava la libertà di movimento in un mondo senza confini”.
Il progetto Libera fuori dall'omologazione e dai simbolismi: no al vittimismo e al paternalismo
Con il progetto Libera, la rete di donne è stata in grado di uscire dall'omologazione e dall'ordine simbolico. “Questo è ancora possibile?”, ha chiesto Mastrogiovanni.
“Noi ci crediamo”, ha risposto Ines Rielli. “Crediamo che le pratiche di aiuto non possono nascondere alcuna forma di violenza. Io non lo sopporterei e neppure tu, di essere aiutata con lo sguardo del ‘poverina, ma guarda che cosa ti è successo’, con gli occhi del pietismo o con modo il paternalismo, con ‘che cosa va bene per te lo decido io’ oppure ‘io ti redimo’ e ‘io ti salvo’ ”, ha detto. “No, non può essere questo, non possiamo stare dentro l'ordine dei canoni che qualcuno ho stabilito per noi. Dobbiamo uscire fuori dalla logica dell'io ti salverò se farai la brava vittima. La categoria del vittimismo è ancora adesso equiparabile ad altre categoria di discriminazione e la usiamo tutti i giorni, in ogni momento, anche nelle pubblicità”.
Sono condotte che non possono essere accettate. “Questo è pericoloso perché la donna non esce libera dal percorso: se noi aderiamo alla pornografia della messa in atto della violenza, anche noi abbiamo perso come donne. E' libera quella donna che con orgoglio ha fatto un percorso che l'ha resa libera”, ha concluso.
Le proposte a conclusione del webinar: premialità e fondo archivistico
A conclusione del confronto, due le proposte emerse partendo dall'esperienza del centro Libera, messe in evidenza da Mastrogiovanni partendo da altrettanti elementi.
Da un lato il fatto che il centro Libera è stato riconosciuto come buona prassi europea e dall'altro che l'archivio delle testimonianze, alcune delle quali riportate nel libro, è abbandonato. Confinato in chissà quali e quanti scatoloni a dispetto di storie che restano nel cuore di chi le vissute e conosciute.
“Vogliamo chiedere la previsione di finanziamenti a titolo di premialità per progetti come Libera, già riconosciuto come buona prassi”, ha detto Mastrogiovanni. “Allo stesso tempo, chiediamo un fondo archivistico che, come fondazione, apra a studenti e associazioni e alle donne delle altre sponde del mediterraneo”, ha aggiunto.
La dedica a Carlo Giuliani e a chi continua a immaginare un futuro migliore
Infine la dedica: “A Carlo Giuliani e a tutti i ragazzi e le ragazze che fortunatamente si ostinano a immaginare un mondo migliore”.
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