Al giorno d’oggi i digital media abbracciano molti ambiti diversi e sono utili per le attività più
disparate: è ora di preoccuparsi non solo di saperli usare tecnicamente, ma di capire come farlo in
modo eticamente corretto.
E se ci fosse la necessità di un’educazione all’uso e consumo dei media digitali?
Nasce cosi l’idea di una Media Education: con questo termine viene indicata l’attenzione
educativa ai media e ai loro linguaggi. Prevede due tipi di attività: quelle indirizzate a far acquisire
la capacità di rapportarsi criticamente ai messaggi dei media e quelle orientate a far sì che con
questi linguaggi ci si sappia esprimere.
Uno degli obiettivi principali della Media Education è quello di fornire all’individuo non solo la
capacità di raggiungere criticamente i messaggi, ma anche il potere di riuscire a distinguere la
propria voce dal coro: una voce che si leva distinta e riconoscibile per poter ottenere effetti nella
società civile e nella vita quotidiana. È importante riuscire a formare individui che non si facciano
sovrastare e condizionare passivamente dalle logiche dei media e dei loro messaggi, ma che siano
attivi e riescano a reinterpretarli e, talvolta, a riconoscerne l’inattendibilità.
Il principale goal è quello di portare la popolazione a essere capace di creare contenuti, considerarli
oggetto di riflessione, decodificare messaggi e ristrutturarli in maniera critica.
A questo tema si collega il problema dell’analfabetismo digitale (digital illiteracy): l’incapacità
delle persone di adoperare adeguatamente gli strumenti digitali, che talvolta può provocare anche
disuguaglianze sociali nell’accesso e nell’uso delle tecnologie digitali. Sono state individuate
quattro dimensioni delle barriere d’accesso alle tecnologie digitali: in primo luogo, rintracciamo la
mancanza di esperienza informatica di livello elementare, come conseguenza dello scarso
interesse per Internet; successivamente l’impossibilità di accedere alle tecnologie o perché non si
posseggono dispositivi digitali, o perché si è privi di una connessione Internet; l’incompetenza
dovuta alla poca pratica o alla mancanza di dimestichezza con le tecnologie più nuove e in ultimo la
mancanza di occasioni di uso per vincoli di tempo o in conseguenza di rivalità nell’accesso alle
apparecchiature a casa o sul lavoro.
L’uso della tecnologia digitale si alimenta del learning by doing, cioè l’essere autodidatti nella
fruizione dei dispositivi digitali, e forse, è proprio questa l’arma a doppio taglio che si cela dietro
l’entusiasmo digitale generalizzato: c’è una soglia di difficoltà di accesso che si supera attraverso la
motivazione a voler imparare facendo e mettendoci mano; ma, questo apprendimento con che
modalità avviene? La digital literacy è l’idea successiva di formalizzare dei percorsi di
apprendimento digitale: fare alfabetizzazione digitale per colmare un gap, magari creando dei corsi
o incoraggiando politiche pubbliche di inserimento nel digitale, in modo da far emergere sempre più
la necessità di una Media Education.
In Italia in particolare, esiste una vera e propria emergenza: da una ricerca del 2018 di Italia in Dati
è emerso che il nostro paese risulta al ventottesimo posto su 29 paesi analizzati, per livello di
analfabetismo digitale.
Solo il 37% della popolazione italiana tra i 15 e i 65 anni, infatti, sarebbe in grado di utilizzare
internet in modo complesso e critico. Gli stessi studiosi propongono delle soluzioni per migliorare
la situazione futura, che prevedono appunto una maggiore educazione, che parta dalle scuole, sui
temi scientifici e tecnologici, ma anche che l’accesso alla rete venga riconosciuto come diritto
universale.
La Media Education è necessaria, inoltre, per evitare episodi di discriminazione digitale come il
cyber-bullismo: ormai reale e virtuale si intrecciano e la vita in rete influenza anche quella off-line.
Abbiamo bisogno di insegnare ai ragazzi, ma non solo, che un’offesa scritta sotto una foto ha lo
stesso valore di una gridata in faccia al diretto interessato.
Le tecnologie digitali ci hanno messo in una condizione di confronto costante: sui social media mondi diversi si incontrano ogni giorno, senza mediazione. Per essere compresi, è necessario saper
affrontare questo rapporto quotidiano con la diversità altrui. Il problema, oggi, è che la maggior
parte delle nostre comunicazioni sono filtrate attraverso uno schermo; questa mancanza di
prossimità fisica ci allontana e ci fa dimenticare l'"altro" a cui ci riferiamo. Questa situazione apre
un nuovo terreno etico. Il tema della crudeltà online ci porta in nuovi scenari: i comportamenti
legati alla cattiveria gratuita sul web sono sempre più frequenti, da parte di persone di tutte le età e
di tutte le classi sociali. È necessario tornare a parlare di responsabilità: un prerequisito fondamentale per una comunicazione eticamente corretta.
Giada Tempesta, studentessa SCOPSI, Università degli Studi di Bari "Aldo Moro"
Isabella Letizia Bruno, studentessa SCOPSI, Università degli Studi di Bari "Aldo Moro"