L’ambiente, l’inquinamento e le variazioni del clima giocano un ruolo prioritario sul benessere e la salute delle nostre vite. Lo sa bene l’industria della moda che in modo sempre più mediatico sta cercando di sopperire ai suoi errori come un pendolo che oscilla tra greenwashing e responsabilità sociale. Stando ai dati più recenti, il report del 2020 di McKinsey, “Fashion on climate“, ci spiega che nel 2018 l’industria dell’abbigliamento è stata responsabile del 4% delle emissioni globali, circa 2,1 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti, in pratica quanto Francia, Regno Unito e Germania messi insieme. Il calcolo fa riferimento agli indumenti prodotti, utilizzati e smaltiti nel 2018. La causa principale riguarda l’erronea convinzione di percepire la moda come mero mezzo per apparire.
Si finisce così per possedere molti più capi di abbigliamento di quelli che è possibile effettivamente utilizzare. Il fattore più incidente riguarda il basso costo dei capi a discapito della qualità, delle condizioni di lavoro e dell’ambiente.
Quanto costa tutto ciò all’ambiente? Il prezzo da pagare per avere un armadio che straborda a prezzi ridicoli costa in termini di inquinamento atmosferico, depauperamento idrico, inquinamento sia chimico che da plastiche. Per non parlare della sovra-produzione dei rifiuti tessili. Tonnellate e tonnellate di vestiti dismessi, ogni anno, finiscono in discarica o sono destinati ad essere bruciati, alimentando così non solo l’inquinamento a valle, ovvero quello di produzione ma anche quello per smaltirli. Capi che potrebbero essere usati nuovamente o riciclati vengono gettati via con i rifiuti domestici.
Questa dell’indifferenza verso le misere condizioni di lavoro degli operai (soprattutto le donne) e verso gli impatti ambientali derivanti da un modello di produzione e smaltimento insensibili all’ambiente, dovrebbe risvegliare anche i Governi che dovrebbero fornire incentivi e finanziamenti alle case di moda. La lotta al cambiamento climatico ed il raggiungimento di un buon livello di benessere lavorativo dei lavoratori e delle lavoratrici del settore si presentano, infatti, come due sfide cruciali per il prossimo decennio. La moda ha sempre avuto e continuerà ad avere un ruolo di primo piano nell'affrontare queste due sfide, sia perché opera su scala globale sia perché ha una grossa influenza culturale. È ormai noto a tutti che quasi tutti i marchi di moda hanno intensificato il loro impegno per operare in modo più responsabile. Lo stanno facendo ripensando ai propri modelli, impegnandosi a rendere i processi produttivi più sostenibili dal punto di vista ambientale, come dimostra anche la recente sottoscrizione della Carta della moda sostenibile e a favore del clima da parte di importanti marchi. Un esempio degno di nota è quello di H&M. L’azienda d’abbigliamento svedese ha fornito tutti i suoi punti vendita di appositi cassonetti in cui si possono lasciare capi e stoffe che altrimenti avremmo cestinato, in cambio di un buono sconto. Ottimo incentivo per favorire il buon senso e la responsabilità personale nei confronti dell’ambiente. Infine, dunque, è fondamentale acquisire consapevolezza e cambiare approccio nei confronti della fast fashion non solo per l’ambiente ma anche per noi stessi. Il primo passo da fare, anche il più semplice, è fare durare più a lungo i nostri abiti utilizzando quello che abbiamo nel nostro armadio più volte e prendendocene cura. Ripariamoli, scambiamoli con gli amici o su piattaforme di vendita second-hand. Diamo loro una seconda possibilità e a noi stessi per diventare più gentili con l’ambiente. Photo Credits: Greenflea.it, lifegate.it, ecologica.online