Secondo il Global Gender Gap report fatto dal World Economic Forum l’Italia è tra i peggiori in Europa se si parla di parità di genere. Il report tiene in considerazione 4 ambiti di analisi: la politica, l’economia, l’educazione e la salute e su 156 Paesi totali l’Italia si trova al 63° posto.
Come più volte anche Mario Draghi ha sottolineato, in Italia lavora meno di una donna su due, quasi la metà delle donne che lavorano hanno dei contratti part time e solo il 28% delle donne ha possibilità di fare carriera nel proprio campo. Secondo il WEF all’Italia serviranno ben 267,6 anni per eliminare il gender gap. Il report denota che le posizioni di potere rappresentate dalle donne sono minoritarie rispetto quelle rappresentate dagli uomini e che il salario di una donna a parità di ruolo è minore. E questo divario tra uomo e donna cresce se si pensa ai lavori del futuro; sono meno del 25% le donne che si laureano nelle discipline “del domani” come informatica e ingegneria. Il settore tecnico-scientifico è quello meno inclusivo verso il sesso femminile, forse a causa di vecchi pregiudizi e stereotipi che portano a un condizionamento delle donne che le spinge verso altri settori. Di conseguenza, si rileva una maggiore offerta rispetto alla richiesta, condizione che spesso viene riportata come causa della disoccupazione di molte donne.
Durante la Conferenza del G20 sull’empowerment femminile la ministra per le pari opportunità, Elena Bonetti, ha dichiarato: “Abbiamo l’opportunità, e credo anche la responsabilità, di cimentarci in uno sforzo congiunto per la creazione di un’agenda per la parità di genere a livello globale”. Ormai arrivati al 2022 sarebbe forse importante smettere di parlare solo del “digital gender gap” (chiamato così nel documento del G20); bisognerebbe partire da un’analisi più profonda e chiedersi come mai siamo arrivati ad avere un divario così impossibile da colmare. Impossibile perché quei 267 anni stimati dal WEF potrebbero diventare molti di più se non si inizia a discutere del gender gap a tutto tondo, analizzando le cause socioculturali per le quali le donne in molti Paesi non riescono ad emergere in ogni ambito. L’impatto dei retaggi culturali è molto forte ancora oggi: per le bambine ci sono le gonne rosa, le bambole e le spazzole per fare delle belle acconciature, per i bambini invece il pallone, le costruzioni e le spade per diventare i più forti. Quanto il modo con cui siamo cresciuti fino ad ora ci ha indotti a scegliere se frequentare una scuola con indirizzo umanistico piuttosto che un istituto tecnologico? Quante scelte potrebbero essere più naturali se si lasciasse libertà d’espressione alle bambine e ai bambini? Quanto sarebbe inferiore il gender gap dal punto di vista delle professioni e, quindi, dell’economia, nel 2022?
Sarebbe opportuno investire sulle nuovissime generazioni; preservarle dalle imposizioni sociali del genere come qualcosa di strettamente collegato ai giochi, alle passioni e ai sogni. Impedire che i bambini di oggi diventino dei genitori convinti che vi siano dei lavori prettamente maschili e dei lavori femminili. L’Europa dovrebbe creare delle direttive per permettere alle nuove generazioni di essere libere di autodefinirsi e autodeterminarsi, senza l’influenza degli stereotipi e potrebbe incentivare i Paesi ad offrire posti manageriali dedicati a chi merita, al fine di apportare benefici all’Europa stessa. Crescere con la consapevolezza di poter essere chi si vuole essere è forse l’unica via per poter eliminare il gender gap in Italia e in ogni altro Paese dell’UE.
A cura di Maura Castrignanò, SCOPSI, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.
Fonti: Global Gender Gap Ilsole25ore