Il global warming è un processo che sta causando l’innalzamento della temperatura media sulla Terra e molti fenomeni climatici estremi. Questo processo, sviluppatosi a partire dall’Ottocento, in concomitanza con le Rivoluzioni industriali, ha come causa le attività umane che emettono anidride carbonica, metano e ossido di azoto; questi gas serra non sono di per sé nocivi, in quanto trattengono il calore del sole nell’atmosfera e rendono vivibile il pianeta. Tuttavia, la loro presenza ormai eccessiva sta portando questo processo all’estremo, provocando fenomeni che mettono in pericolo la salute degli umani e la sopravvivenza di migliaia di specie. La comunità scientifica è ormai concorde nell’attribuire la causa di questo fenomeno all’antropizzazione, alla combustione di carbone e petrolio, alla deforestazione e agli allevamenti intensivi.
Gli effetti del riscaldamento globale si riverberano, ovviamente sull’ambiente e di rimando sulle condizioni sanitarie ed economiche dei paesi. Ad esempio, lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello di mari e oceani mettono in pericolo specie di animali e vegetali che abitano quei luoghi sottraendo loro l’habitat naturale. Si osservano sempre più spesso eventi climatici estremi come alluvioni, uragani, grandinate e ondate di caldo, desertificazione e siccità, causati dall’aumento dell’energia presente nell’atmosfera che, secondo gli esperti, porta a un’accelerazione del ciclo dell’acqua. Questi fenomeni conducono inevitabilmente all’aumento di incendi, frane, sommersione di territori costieri da parte delle acque e perdita della biodiversità.
L'impatto economico e sociosanitario del cambiamento climatico consiste nel peggioramento delle condizioni di vita nelle popolazioni costrette a convivere con questi eventi catastrofici, o nella costrizione all’emigrazione dai propri paesi. Infatti, l’aumento delle temperature può favorire, ad esempio, la diffusione di malattie tropicali come la malaria; non solo, lo spostamento di alcuni tipi di insetti verso altre zone potrebbe anche mettere a rischio alcune specie animali e vegetali più fragili.
Rimanendo in tema di effetti, possiamo citare l’ILVA di Taranto, definito anche “mostro inquinante d’Europa”, acciaieria nota da anni alle cronache per le sue emissioni nocive. Questo colosso di 330 metri, inaugurato nel 1965, è finito sotto accusa dal 2012 per sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico; nel 2013, la Commissione Europea ha avviato una procedura di messa in mora nei confronti dell’Italia rea di non aver vigilato sugli elevati livelli di emissioni causate dal processo di produzione dell’acciaio. Al momento del sequestro dell’area nel 2015, i vertici aziendali sono stati imputati di contaminazione dei terreni agricoli, produzione, recupero e scarico di rifiuti liquidi e solidi tossici senza autorizzazione e omissione di adottare le misure necessarie ad identificare i rischi connessi alle attività dello stabilimento come richiesto dalla normativa europea. Nel dettaglio, alcune delle sostanze nocive emesse dall’ILVA sono state diossido di azoto, anidride solforosa, IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), benzodiossine e benzopirene, le quali sono risultate dannose non solo per i dipendenti dello stabilimento, ma anche per la popolazione locale e l’ambiente circostante.
Nonostante gli scenari generali siano drammatici, ci sono delle aziende che si stanno impegnando in maniera attiva per ridurre il proprio impatto sull’ambiente: un esempio concreto è Voestalpine, la quale ha fondato il proprio valore sulla riduzione del carbon footprint. A differenza dell’ILVA, questa nota acciaieria si pone l’obiettivo di ridurre gli effetti sull’ambiente e si fonda su un’economia neutra in termini di emissioni di carbonio. L’obiettivo climatico di Voestalpin prevede una graduale decarbonizzazione attraverso lo sfruttamento dell’idrogeno nel lungo periodo, ponendo come base l’energia rinnovabile, la produzione di acciaio riducendo la sua fusione con il plasma di idrogeno e l’utilizzo di nuove tecnologie che riducono le emissioni di CO2 all’interno dei cantieri.
Al di fuori del settore siderurgico, altri esempi di aziende che si stanno impegnando nella lotta al riscaldamento globale sono Adidas (recupero e riciclo rifiuti convertito in materia prima per i prodotti), P&G (utilizzo di imballaggi riciclabili e di elettricità proveniente da fonti rinnovabili) e Enel Green Power (sviluppo e gestione di generazione di energia da fonti rinnovabili – eolica, solare, geotermica e idroelettrica).
Non solo i privati, ma anche organizzazioni internazionali come l’ONU e in generale l’Unione Europea si stanno mobilitando per fare di più, anche se l’obiettivo è ancora lontano. Molti Paesi, tra cui Cina e India, dimostrano tutt’ora di essere poco sensibili nei confronti dell’inquinamento. A dimostrazione di ciò, basti pensare che centottanta città sulle duecento più inquinate si trovano proprio in queste nazioni. Gli studi dell’Unione europea mostrano come a causa della bassa qualità dell’aria in media, muoiano ogni anno circa 412mila persone, prematuramente. A livello politico tutti noi cittadini dovremmo chiedere di intervenire utilizzando energia pulita diminuendo progressivamente l’uso di combustibili fossili; di mettere in sicurezza le infrastrutture per evitare che eventi atmosferici estremi possano causare tragedie; di ottimizzare l’efficienza energetica degli edifici; di modernizzare mezzi di trasporto a favore di quelli ecologici e di promuovere iniziative affinché i cittadini sviluppino una consapevolezza tale che li porti a mettere in atto comportamenti a favore del sostegno del pianeta.
Pensare che solo le istituzioni possano contribuire al cambiamento è di fatto errato: l’impegno quotidiano di ognuno di noi è fondamentale. Ma come potremmo partecipare attivamente alla soluzione del problema? Potremmo iniziare con: non lasciare le apparecchiature elettriche in stand-by, acquistare solo dispositivi ad alta efficienza energetica, fare la raccolta differenziata, consumare più cibo bio, favorire l’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici evitando quello dei privati e minimizzare l’uso di prodotti monouso. Ogni grande impresa inizia da piccoli passi.
Articolo realizzato da: BELLARDITA Stefania, CICORELLA Marika, DI MOLFETTA Laura, GIANNOCCARO Catia, GIOVINAZZI Rocco Antonello, IODICE Giuseppe, LONGO Ivana, MILELLA Sabrina, RICCI Francesca, VARESANO Arianna, VERNI Maria Pia, VOLZA Caterina - Studentesse e studenti SCOPSI, Università degli Studi di Bari "Aldo Moro"